Il giovane cammina
più veloce dell’anziano
ma l’anziano conosce la strada
Proverbio africano
Ogni ragazzo, uomo o donna che sia almeno una volta avrà pensato: perché i miei genitori non mi capiscono? Una domanda apparentemente semplice e che di fatto pone comunque un quesito la cui risposta di sicuro semplice non è. Noi giovani molte volte proviamo a far entrare nel nostro piccolo mondo gli adulti; c’è chi sbaglia e li fa entrare troppo anche nelle decisioni più personali e chi invece con saggezza li lascia al di fuori della vita sociale. Tuttavia è facile in entrambi i casi che si arrivi nello scontro generazionale che porta giovani e adulti su posizioni totalmente diverse; il motivo riguarda quella sedimentazione di valori che George Simmel chiama sociazione: quella sedimentazione nel tempo di modalità interattive tra le persone che crea strutture sociali su cui regge la società. Come lo stesso autore scrive:
«Né la fame né l’amore, né il lavoro, né la religiosità, né la tecnica, né le funzioni e i risultati dell’intelligenza significano già nel loro immediato, sociazione; essi la costituiscono piuttosto solo quando trasformano la loro mera vicinanza degli individui in forme determinate di convivenza e collaborazione che rientrano nel concetto generale di interazione»[1].
Questo porcesso porta inevitabilmente a critiche da parte di entrambi su molti lati negativi partendo dall’abbigliamento e arrivando al linguaggio, ma anche dal modo di pensare e dunque anche dal modo di essere. Disagi e difficoltà di compressione sorgono spesso e per questo i figli spesso tendono a isolarsi dal nucleo famigliare soprattutto durante l’età adolescenziale. Come risposta sorge spontanea il fatto che tutti dovremmo essere uguali così da potersi capire a vicenda abbandonando ogni status e pregiudizio. Ciò viene riconosciuto dal sociologo Georg Simmel come l’atteggiamento che migliore verso la socievolezza.
La società è definita “come un insieme di individui che agiscono, in modo che la volontà di ciascuno entri in relazione e sia influenzata da quella di ogni altro”. Il nucleo familiare può essere inteso come una piccola società in miniatura e di conseguenza i figli si sentiranno sempre influenzati dai propri genitori, e avranno sempre paura di non riuscire a soddisfare le loro aspettative; qua sorge il problema ovvero ciò su cui si basa la società ossia il senso di reciprocità che però non potrà mai nascere e non potrà mai regolare i rapporti umani se non mettiamo da parte proprio la nostra paura. La socievolezza così come viene intesa da Simmel è una forma pura dell’interindividualità e della superindividualità e come fondamento ha tre condizioni necessarie:
- -l’esclusione di tutto ciò che per la personalità ha importanza oggettiva come successo e ricchezza
- -l’avere se stesso come unico scopo
- l’elaborazione e la trasformazione in forma lucida e leggera della realtà della vita.
Questi tre punti quindi evidenziano il fatto che la socievolezza può avvenire nella neutralità assoluta, ciò che non può avvenire tra due esseri umani. Ogni uomo e unico, nella specie umana l’uomo e l’unica specie di se stessa, questo porterà sempre ad un malcontento.
Non e possibile dare una risposta immediata perché come detto fino ad ora ognuno di noi è differente ma secondo la mia opinione servirebbe andare in contro per poter mantenere un equilibrio familiare in cui ognuno ha i propri spazi e qualche volta bisogna poter aprire anche solo esponendo i propri problemi e questo non e rivolto solo a figli ma anche ai genitori perché sotto molti punti di vista noi ragazzi vediamo il genitore come un punto intoccabile e quindi aspiriamo a diventare come loro e il non arrivare all’obiettivo porge molti problemi che difficilmente da solo si superano.
[1] G. Simmel, La socievolezza, Gabriella Turnatori (a cura di) Armando, Roma 1997, pag. 38.