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Giordano Rossi – Shutter Island: una storia per un compito di realtà –

Io vivo per dominare la vita e

non per essere schiavo

Jim Morrison

 

Shutter Island è un film che definirei particolare con una storia che si può comprendere solo se guardato con molta attenzione: per questo lo consiglio specialmente a chi ama fare caso e notare i dettagli, i particolari, le sfumature che, spesso nella distrazione passano in secondo piano; in questo caso questi particolari sono fondamentali per poi estrarne a pieno il concetto della strana storia che, l’attore Leonardo Di Caprio, riesce ad interpretare nel migliore dei modi. Si tratta della storia di Teddy Daniels, un ufficiale statunitense, reduce della II Guerra Mondiale, ora detective dell’FBI, deve investigare sulla sparizione di una paziente dall’ospedale psichiatrico di “Shutter Island”: una madre colpevole di aver annegato i suoi due figli. Teddy, che ha insistito per analizzare il caso, in realtà vuole trovare una persona legata al suo passato. Col procedere delle indagini i responsabili dell’ospedale psichiatrico gli negano l’accesso a documenti necessari. Inoltre, durante un uragano, le comunicazioni con la terra ferma vengono interrotte. Il detective comincia a dubitare di ogni cosa: della sua memoria, del suo collega e infine anche della sua sanità mentale. Non solo ma se pensiamo all’apparente normalità del protagonista non è difficile trovare un collegamento con il duplice volto della devianza: alcuni affermano che di per sé – come categoria concettuale e assoluta – nessun comportamento è realmente deviante, infatti ciò che è vero o tollerato in certi contesti non può non esserlo in altri tempi o luoghi, ma è altrettanto vero che comportamento non conforme ai canoni di normalità e di liceità può effettivamente tradursi in un comportamento oggettivamente deviante, anche senza particolari pregiudizi[1]. La devianza è dunque la caratteristica che da vita alla storia e ne caratterizza diversi personaggi, fra cui il protagonista che fino all’ultimo non riesce a rendersene conto e, quindi, a guarire del tutto dalla sua malattia.

Il disturbo particolare del protagonista, si evince dal fatto che fino alla fine del film questo non riesce ad analizzare sé stesso ed è convinto fermamente di essere un’altra persona. Ciò è dovuto al forte trauma che seguì l’assassinio della moglie; non volendo così accettare che fu proprio lui ad ucciderla, facendo passivamente inscenare alla sua mente stessa questa storia parallela ai fatti inerenti però alla sua vera vita. Proprio perché il suo disturbo poco prima della sua uscita dal penitenziario si ripresenterà e contrariamente a quanto si potrebbe credere il film non si conclude con la sua scarcerazione.

A parer mio il film, anche non essendo uno dei più famosi del regista Scorsese, è molto interessante e soprattutto suggestivo. Non è poi così scorrevole perciò per una visione attenta bisogna amare il genere e soprattutto cercare di guardarlo con una certa profondità di analisi. Sarà soltanto dal finale, che ne determina anche il genere, infatti si evince che il film è tutta una suggestione mentale del protagonista, convinto, anche da parte degli psichiatri, di essere un’altra persona per poi assolversi da solo dall’uxoricidio che aveva commesso in passato. Proprio e ancora sulla devianza non possiamo non considerare le teorie di Merton, il quale spiega come la condotta deviante nasca dal divario tra gli scopi sociali proposti all’individuo e i mezzi effettivamente disponibili per realizzarli, quindi il comportamento deviante, rappresenterebbe anche un tentativo di raggiungere quegli scopi attraverso un comportamento illecito. Così come concordano le teorie di di Goffman, Beker e Lemert, facendo riferimento all’etichetta o stigma affibbiato al soggetto deviante che rischia di diventare un criminale. Non solo ma da questo film emerge anche una profonda analisi sull’efficacia degli istituti penitenziari: principali forme di controllo per l’esecuzione della pena.

Dopo la sua nascita come strumento di sanzione, il carcere, diventò una struttura al fine di controllo e disciplina del recluso. Ancora oggi c’è dunque da interrogarsi sulle funzioni sociali del carcere, chiedendoci quando e se sia possibile reintegrare nella società determinati soggetti. La risposta a questa domanda è complessa: reintegrare un criminale, non ha sempre avuto un esisto positivo e il reinserimento all’interno della società da parte delle strutture e dei servizi che operano in collaborazione con gli istituti di reclusione è oggettivamente un lavoro complicato. In effetti non credo che basta l’accertamento dell’esecuzione della pena quanto piuttosto bisognerebbe accertarsi e avere la prova concreta dello stato psicologico del soggetto. Se, il soggetto, dopo aver pagato il debito con la giustizia nei confronti della società è conforme al processo di reinserimento dobbiamo domandarci: fino a che punto il soggetto non è pericoloso per la società? Potrebbe realmente commettere nuovamente lo stesso reato? Un individuo che ha scontato la sua pena, se totalmente guarito dai propri disturbi, ma anche dal suo passato può essere reinserito nella società?  Questi sono i dubbi che oggettivamente vengono in mente pensando alla narrazione del film, considerando dunque anche la veridicità del caso e che oggettivamente potrebbe risultare reale non è poi così difficile pensare a tutto ciò come un compito di realtà.

[1] Cfr., E. Clemente R. Danieli, La prospettiva Sociologica, Paravia Torino 2016, pag.102.

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