Lo stereotipo degli italiani all’estero
di Ginevra Marcoccio
La mafia uccide,
il silenzio pure.
Peppino Impastato
È semplicemente un mito pensare che gli italiani siano tutti legati alla mafia? In effetti il termine mafia è stato utilizzato per etichettare le organizzazioni criminali originarie del sud Italia e risalenti al XIX Secolo. A ben vedere all’estero e soprattutto in America è sicuramente vero che se si pensa agli italiani, la prima cosa che viene in mente sono mafiosi e gangster, ma nella realtà dei fatti ci accorgiamo che raramente queste persone hanno avuto incontri reali con mafiosi italiani. E difficilmente avrebbero potuto averli. Le loro convinzioni sono dunque influenzate da stereotipi emersi e ad un certo punto si sono consolidati nel modo in cui i media hanno rappresentato nel tempo il popolo italiano. Queste opinioni, non basate sull’esperienza reale, si sono moltiplicate negli anni e hanno contributo a creare una percezione pubblica “esagerata” del rapporto tra il popolo italiano e la criminalità organizzata, probabilmente anche molto lontana dalla realtà.
In effetti lo stereotipo definito da Hilary Putman negli anni ’70 come: “il complesso di descrizioni tipicamente associati a nomi comuni dei parlanti” può risultare essere il significato di un’attività mentale costruita dai media e nella fattispecie di questi esempi, gli stereotipi degli italiani hanno fatto la loro comparsa nella cinematografia fin dai primi anni del XX secolo, in film come, ad esempio, “La mano nera” (1906) e “Sangue italiano” (1911) e tanti altri ancora. Dal 1928 sono stati 846 i film che hanno messo in cattiva luce gli italiani. Mentre il 12% dei personaggi mafiosi in questi film è basato su mafiosi della vita reale, il restante 88% dei personaggi è completamente immaginario, basato su stereotipi. Inoltre, questi film non sono quasi mai una rappresentazione corretta di come appare o si comporta realmente la criminalità organizzata. L’intuizione di Putman riportata nel testo: Significato, riferimento e stereotipo, consiste nel fatto che una notizia falsa può diventare vera semplicemente perché diventa di dominio pubblico e il pubblico stesso ne consolida l’esistenza semplicemente perché ne continua a parlare ripetutamente, fino a diventare non soltanto un riferimento o un significato, ma addirittura un stigma e dunque uno stereotipo.
Il grande pubblico è quindi portato a credere che quello che fanno tutti i mafiosi è andare nei bar e uccidere, poiché è questo l’immaginario che suscita maggiore attenzione da parte del pubblico. Sebbene la mafia fosse e continui ad essere coinvolta in una serie di attività illegali, le sue operazioni, specialmente negli ultimi decenni, sono state orientate al business e ad evitare scontri sanguinosi.
I riferimenti alla malavita italiana sono usati dai media stranieri per descrivere maliziosamente l’Italia e la sua gente come “covo di pericolosi criminali”. Un esempio famoso fu una copertina di Der Spiegel, il settimanale tedesco di notizie, che nel luglio 1977 presentò un’analisi approfondita della società italiana con la foto di un ristorante che mostrava un piatto di spaghetti con una grossa pistola sopra e una didascalia con scritto: “Vacanze italiane, rapimento estorsione e rapina a mano armata”. Come ha reagito il pubblico alla pubblicazione tedesca? Alcune persone hanno riso, altri ne erano spaventati. La copertina è stata difesa, come una provocazione giornalistica. Tuttavia il messaggio era un riferimento diretto all’immaginario stereotipato degli italiani illecitamente legati all’industria alimentare, alle attività commerciali e a una rappresentazione più generale di un presunto “stile di vita”. Ora questi presunti stili di vita finiscono per trovare riscontro anche nella teoria dell’etichettamento o labbelling theory di Edwin Lemert ed Erving Goffman, dove il criminale essendo etichettato come tale finisce per esserlo o addirittura diventa il prototipo dello stigma del criminale semplicemente perché i media lo hanno dipinto così. I personaggi della malavita interpretati dall’industria dell’intrattenimento mostrano indubbiamente azioni e comportamenti del tutto contrari alle norme generalmente accettate dalla nostra società. D’altra parte, questi personaggi sono ritratti come se, a volte, fossero in grado di esibire valori che alcuni gruppi potrebbero riconoscere come propri. In realtà sono propri all’immaginario collettivo in quanto non hanno un reale riscontro nel mondo reale[2]. Questa caratterizzazione crea sia un’avversione che un interesse verso la figura criminale che contribuiscono a mantenere viva l’immagine percepita e dunque anche il mito corrispondente. Gli abominevoli atti di violenza compiuti dalla mafia contrastano con qualità e virtù che li rendono meno spregevoli allo spettatore. Nel film il “Padrino” (1972), Il patriarca della famiglia mette in mostra, attraverso le sue parole e il comportamento, il suo codice etico: coraggio, amore per la famiglia, orgoglio, religiosità. Questo appello a ideali condivisi dagli spettatori incide sulla sopravvivenza del mito nella misura in cui bilancia i tratti spregevoli del mondo sotterraneo e lo rende meno intollerabile.
[1] Per caso trovi la fonte?
[2] Secondo una statistica (citare la fonte) dell’FBI del 1999, solo lo 0,0078% del numero di italoamericani è un criminale.