Non i titoli illustrano gli uomini
ma gli uomini i titoli
Machiavelli, Discorsi sulla prima deca di Tito Livio
Vassalli, valvassori, valvassini: queste sono solo alcune delle posizioni sociali che vengono in mente, se pensiamo alla stratificazione sociale dell’antico medioevo, dove tutto sembrava apparentemente statico, fermo, immobile agli occhi dell’osservatore post-moderno. In effetti nella storia moderna e contemporanea non è difficile pensare al titolo nobiliare come naturale conseguenza di quello che il feudalesimo ha lasciato in eredità ai posteri: la terra, il titolo e qualche raro blasone di corte, quasi come se dovessero stigmatizzare il valore del tempo. Oltre agli arazzi, bandiere, scudi, e simboli ritroviamo negli antichi castelli, qualche bottiglia di vino: non è un caso che l’Italia viene ancora oggi ricordata all’estero per il vino di qualità! Un paese il nostro di agricoltori, più che di officine, almeno per quanto riguarda il suo passato storico. In una terminologia moderno i ruoli, ascritti o conseguiti hanno dunque, almeno nel nostro paese, un’origine contadina, forse addirittura vinicola, se consideriamo ad esempio il Parlamento Piemontese con il sui Statuto di Savoia, e soprattutto, i grandi nomi delle famiglie proprietarie dei vigneti: Barolo, Ricasoli, Nebbiolo e Barbera.
Durante il medioevo, prima e subito dopo l’anno mille la società era dunque organizzata mediante il vassallaggio, ossia un rapporto basato su possedimenti terrieri, vigneti e alberi da frutto, quindi terra o meglio grandi appezzamenti di terra che prenderanno il nome di latifondi, e poi non dimentichiamo i benefici dati ai vassalli in cambio di subordinazione. Analizzando così questi rapporti dal punto di vista sociologico, è persino palese ammettere che la società medievale era fortemente gerarchica e non prevedeva alcuna possibilità di risalita della piramide sociale. Non vi erano dubbi sul destino dell’uomo in quanto predestinato ad essere indissolubilmente legato alla sua terra o a quella del padrone. Difatti anche i membri del terzo stato probabilmente più abbienti, borghesi cioè abitanti del borgo potevano solo sperare di risalire la piramide sociale, impresa possibile attraverso l’acquisizione di titoli nobiliari, che si trasmettevano però quasi sempre per via ereditaria; con i titoli venivano conferiti al primogenito maschio anche possedimenti e benefici chiamati regalie: poteri amministrativi, riscossione tasse, i quali però non potevano essere divisi o venduti. Sarà l’ultimo del Regio Decreto n. 651 del 7 giugno del 1943, art. 3, a ribadire l’importanza del titolo nobiliare: principe, duca, marchese, conte, visconte, barone, cavaliere, patrizio e comunemente nobile, anche se svecchiato dal codice napoleonico.
Ad eccezione di questo fenomeno di chiusura in gruppi sociali possiamo forse considerare anche il mondo clericale, o ecclesiastico, in quanto aveva la possibilità, anche partendo da una condizione sociale non favorevole, di acquisire potere e ricchezze, nello spirito quindi nei cieli ma anche in terrà: non dimentichiamo il potere temporale della Chiesa.
Clero e nobiltà costituivano dunque una percentuale esigua rispetto al terzo stato (borghesi, contadini e servi) che attraverso la forza lavoro e i commerci permettevano ai primi due di vivere di rendita; i nobili e anche la classe religiosa, infatti non potendo lavorare, vivevano nel lusso, grazie a benefici che gli permettevano di prelevare parte del raccolto dai contadini, o di richiedere una precisa tassazione pecuniaria: ovviamente in soldini, che oggi potremmo chiamare i risuonanti Eurini. Alle origini del vassallaggio c’era però il bisogno di protezione della popolazione dopo le invasioni barbariche, offerta proprio da alcuni nobili grazie al processo di incastellamento. I cittadini più poveri infatti offrivano il proprio lavoro nei campi, in tempo di pace e la protezione militare del castello in tempo di guerra; a causa di questo, il castello divenne il centro economico e politico del tempo. La “rete vassalla” è stata dunque abolita ufficialmente con le leggi di eversione della “feudalitá” approvate nei primi anni del 1800 da Napoleone, ma era già in crisi alla nascita dei primi Stati-nazione.
Rapportando tutto questo al giorno d’oggi, possiamo affermare che esistono ancora paesi nel mondo, dove ci sono forti stratificazioni sociali, come ad esempio le caste indiane, le quali, anche se abolite, esercitano una forte influenza sulla popolazione. In Italia, o comunque nel mondo occidentale, esistono fenomeni riconducibili al feudalesimo, come l’esistenza di lobby di potere o il nepotismo. Le lobby infatti, anche se non esercitano un effettivo potere politico, riescono ad influenzare le decisioni di chi esercita il potere legislativo, esecutivo e spesso anche giudiziario. Per fare un esempio negli Stati Uniti le lobby che controllano il commercio di armi, grazie al loro potere economico, riescono ad inibire il governo da promulgare leggi che limitino l’uso di armi, nonostante le continue stragi.
Per riportare il fenomeno su un avvenimento riportato dai quotidiani, si può ad esempio fare riferimento alla presa di posizione di Sergio Mattarella quando ha vietato che un possibile Ministro Paolo Savona in quanto antieuropeista, potesse diventare il nuovo Ministro dell’economia, paladino di una poco probabile scelta democratica? Allora viene spontaneo chiedersi se si tratta di una democrazia che esiste nella realtà dei fatti? O forse, sarebbe meglio ricondurre il fatto, al fatto sociale di Emile Èmile Durkheim dove la coercizione elude il concetto di democrazia? A ben vedere Durkheim alla fine dell’Ottocento scriveva:
«È fatto sociale qualsiasi maniera di fare, fissata o meno, suscettibile di esercitare sull’individuo una costrizione esteriore, o anche che è generale nell’estensione di una data società pur possedendo una esistenza proprio, indipendente dalle sue manifestazioni individuali»[1].
Essere o meno europeisti non ha in tal senso grande significato, quanto piuttosto cercare di capire quanto la coercizione di certe posizioni può diventare il presupposto per essere dentro o fuori l’ideologia di questa Europa. In tal senso il problema della coercizione si verifica quando si finisce obtorto collo per scegliere il male peggiore. Di sicuro credo in ogni modo che non sia stata una scelta facile nominare Giovanni Tria, come attuale Ministro dell’economia.
Si tratta di dubbi che riportiamo solo per capire come funzionano le dinamiche socio-politiche e che inevitabilmente influenzano il nostro giudizio.
In questo caso parliamo di una persona che ha un’influenza politica, grazie al suo ruolo ma che non potrebbe prendere decisioni attive, tranne forse quella di rifiutare di firmare una sola volta le leggi approvate dal Parlamento.
Affrontando dunque il problema del nepotismo non è di fatto facile e di sicuro possiamo affermare che a tutt’oggi, specialmente nel nostro paese, tale problematica è particolarmente sentita: basta confrontare i nomi di note famiglie che hanno colonizzato, ministeri, enti pubblici, università oltre ovviamente a piccole e medie imprese a conduzione familiare, dove il lavoro, quindi anche “il lavoro in termini di capacità e competenze”, si passa o meglio ancora si tramanda da padre in figlio. Tutto questo aiuta la mobilità sociale? Anche questa domanda non è pleonastica se pensiamo che le stratificazioni sociali nel nostro paese non ammettono con facilità la possibilità di cambiare status sociale.
Tutto ciò non sarebbe neanche sbagliato se riuscissimo a tesaurizzare conoscenze, professionalità, dunque saperi e professioni, ma nella realtà dei fatti il mercato del lavoro rimane ancora troppo fermo: non si creano più tante e nuove professioni, o se non altro non tante quante ne richiedeil mercato del lavoro, quando poi si mantengono e si manifestano i poteri forti nelle medesime oligarchie partitocratiche. A causa delle lobby di potere non è dunque difficile trasferire il concetto di classe sociale ricondotto alle grandi mafie locali, dove le famiglie detengono il loro dominio sul territorio, in senso quantomeno “familistico”: avere dunque protezione della famiglia in cambio di favoritismi. Dall’epoca dell’antico mondo feudale alle nuove lobby di potere che cosa è cambiato? Forse molto o forse no, di sicuro è aumentata l’informazione, le nuove tecnologie permettono di conoscere, ma anche di informare su ciò che accade nel mondo e questa già di per se è un’importante conquista. Certo alcuni problemi ancora rimangono.
Non è poi così difficile immaginare dunque che oggi molti giovani finiscono per scappare in realtà più libere. Quale può essere la via di uscita? L’intraprendenza, la creatività, la reale laboriosità umana e l’indiscutibile capacità di saper lavorare sfruttando la propria determinazione.
[1] Durkhem E., Le regole del metodo sociologico, (1895) Editori Riuniti 1996 pag.32