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La Maiutica Dolciana: Appunti per una riflessione …

di Marinella Pepe

Abstract

Risulta interessante provare a leggere il tema della reciprocità tra allievo e maestro a partire dalle sollecitazioni provenienti dall’orizzonte teorico e dalla pratica, educativa e di ricerca sociale, di Danilo Dolci.

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Nella novella L’eresia catara, Luigi Pirandello si sofferma su un modo di fare formazione ben lontano dall’ipotesi di circolarità del sapere e di reciprocità tra allievo e maestro: nello specifico, egli tratteggia con ironia pungente la figura di Bernardino Lamis, professore ordinario di storia delle religioni, a tal punto appagato dal proprio eloquio da non accorgersi che, al posto dei soliti due studenti costretti a casa da un violento temporale, “una ventina di soprabiti impermeabili, stesi qua e là a sgocciolare nella buia aula deserta, formavano quel giorno tutto il suo uditorio” (Pirandello 1994: 716).

Danilo Dolci utilizzò più volte il racconto pirandelliano per spiegare le derive di una modalità unidirezionale che caratterizza l’agire educativo, espressione e sintesi di una più sottile e violenta pratica di dominio che attraversa ambiti e dimensioni differenti della vita quotidiana.

È utile provare a leggere il tema della reciprocità a partire dalla lente teorica offertaci dall’esperienza dolciana; in particolare, risultano preziosi alcuni elementi concettuali.

L’agire reciproco, se letto nella prospettiva dolciana, risulta fortemente co-evolutivo (Prigogine 1986) nella misura in cui è orientato dalla volontà di uno sviluppo condiviso, personale e comunitario, ed è capace di interessare equamente allievo e maestro.

Allorquando la pratica della reciprocità educativa chiama in gioco creatività e azione di gruppo – giudicate un “antidoto alla disgregazione individualistico-utilitaria della società civile” (Mangano 1992: 182) – allora essa si palesa come motore sociale: le relazioni maieutiche, pertanto, latamente intese, risultano agenti del cambiamento.

Per Dolci la bidirezionalità della dimensione educativa era a tal punto significativa da farne il cardine attorno al quale far ruotare l’intero impianto progettuale.

Fondata su un procedere maieutico, la scuola dolciana incarnava la circolarità del sapere, generato da un reciproco ‘fare domande’ capace di muovere ricerca e studio.

La reciprocità non si basava su un rapporto esclusivamente diadico, ma cresceva nella e a partire dalla struttura maieutica. Il gruppo, infatti, nella molteplicità dei piani relazionali che riusciva a tessere, si connotava come catalizzatore di interessi, come strumento in grado di esplorare bisogni e di trovare risposte.

Il docente non assolveva ad un compito trasmissivo, ma, in un ruolo di ‘facilitatore’, era chiamato a suscitare domande, obbedendo al primario compito maieutico dell’azione educativa.

In sintesi, alcuni elementi caratterizzano in maniera significativa l’orizzonte teorico dolciano: la maieutica, intesa come metodo non-violento, orientata a scardinare le premesse del ‘virus del dominio’ (Dolci 1988); l’orizzonte comunitario, all’interno del quale la scuola agisce come strumento primario di sviluppo personale e collettivo, generato dal basso; la prospettiva evolutiva e co-evolutiva, capace di cogliere l’essere umano nel suo essere e suo potenziale divenire. Maieutica, comunità e co-evoluzione rappresentano rispettivamente il metodo, il contesto d’azione e la prospettiva entro cui si muove la dinamica dolciana.

La reciprocità educativa, così come declinata dall’Autore, la si può cogliere magistralmente in alcuni versi che chiudono la raccolta di poesie Poema Umano:

“C’è chi insegna guidando gli altri come cavalli passo per passo: forse c’è chi si sente soddisfatto così guidato. C’è chi insegna lodando quanto trova di buono e divertendo: c’è pure chi si sente soddisfatto essendo incoraggiato. C’è pure chi educa, senza nascondere l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni sviluppo ma cercando d’essere franco all’altro come a sé, sognando gli altri come ora non sono: ciascuno cresce solo se sognato.”

Ciascuno cresce solo se sognato. In queste parole, che sono l’eredità del padre della maieutica sociale, sembra echeggiare il monito di Adriana Cavarero: occorre un ‘tu’ che sappia ascoltare per poi restituire l’integrità della storia ascoltata. Occorre qualcuno che osi sognare l’altro, un ‘tu’ che scorgendo i possibili sappia poi restituirli lasciando che il ‘crescere’ sia un autonomo maturare e non un memetico riprodurre.

Riferimenti bibliografici:

Cavarero A. (2005), Tu che mi guardi. Tu che mi ascolti. Filosofia della narrazione, Milano, Feltrinelli

Dolci D. (1974), Poema umano, Torino, Einaudi

Dolci D. (1988), Dal trasmettere al comunicare, Torino, Sonda

Dolci D. (1996), La struttura maieutica e l’evolverci, Scandicci (Fi), La nuova Italia

Mangano A. (1992), Danilo Dolci educatore, San Domenico di Fiesole (Fi), Ecp

Pirandello L. (1994), “L’eresia catara” in Novelle per un anno, Firenze, Giunti, pp 708-716

Prigogine I. (1986), Dall’essere al divenire, Torino, Einaudi

*Assegnista di Ricerca – DSE Università di Venezia Ca’ Foscari c/o Cattedra prof.ssa C. C. Canta
marinella.pepe@uniroma3.it

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