Generale

Paolo Impara: processo dialogico

«In linee generali il concetto di reciprocità si può distinguere come dimensione filosofica scientifica, diversa da quella più strettamente filosofico-educativa. Nella prima si inserisce il concetto di reciprocità per quanto riguarda la revisione delle teorie epistemologiche, l’ermeneutica, la fenomenologia, la teoria della complessità; una dimensione che segue il cammino della scienza, che dall’infallibilità del percorso scientifico giunge fino alla fallibilità umana. Ciò non significa negare il percorso scientifico delle singole scienze, ma affermare la necessita di un loro fine. È necessario quindi perseguire un modello scientifico valoriale cercando di interpretare il rapporto tra l’uomo e il suo ambiente: reciprocità attraverso la conoscenza del mondo. Quindi la reciprocità secondo il concetto dell’essere con gli altri. La consapevolezza del sé ci aiuta a capire l’importanza dell’identità nella ricerca delle uguaglianze, ma anche nella ricerca delle diversità; la reciprocità diventa quindi una categoria ontologica su cui si confronta l’identità. È chiaro che ci riferiamo ad una soggettività la quale da una parte riguarda l’esperienza individuale, ma dall’altra riguarda anche l’esperienza collettiva, per cui non è così difficile entrare nella seconda dimensione: quella filosofico-educativa. Consideriamo che il concetto di reciprocità è strumentale alla comprensione del mondo: necessario nel rapporto di inerenza reciproca con il mondo e con il nostro ambiente circostante. Questo ci porta dunque a focalizzare l’attenzione sul concetto di relazione che essenzialmente si traduce nell’educazione e nella comunicazione; trasformazione di informazioni attraverso gli altri. Si tratta di uno scambio reciproco con gli altri. Quindi comunicare significa anche rendere comune. È una azione che produce una relazione tra soggetti comunicanti. Ciò presuppone un’apertura originaria di noi stessi con gli altri che consente di approfondire il processo di comunicazione reciproca, espressa singolarmente nelle forme più varie. La relazione di fatto nell’accezione specifica della reciprocità diventa quindi un’unità ontologica. Infatti nessun soggetto può essere considerato chiuso nella sua totalità, perché la dimensione propria dell’esistenza umana è sempre connotata con altri esseri. Vivono insieme singolarità e reciprocità in un rapporto inscindibile. A questo punto dobbiamo considerare l’intenzionalità, dove l’oggetto e il soggetto non hanno più senso se vengono considerati separatamente. Hanno un’interdipendenza reciproca come conoscenza di sé e una realtà di sé: unite nel loro stretto coinvolgimento. L’intenzionalità è quella relazione in cui i termini, soggetto e oggetto, vivono nella loro coscienza. La coscienza intenzionale diventa il vincolo che intreccia le singole esperienze vissute insieme, individuali ma anche riferite alla realtà oggettiva. Sul piano socio-educativo la reciprocità risponde quindi all’istanza relazionale. La relazione di reciprocità diventa il fondamento del rapporto tra l’individuo e gli altri, contrapposta alla visione unilaterale di soggettivismo e oggettivismo. L’intenzionalità si esprime principalmente nell’intenzione di capire che cosa chiede l’altro, mettersi quindi nell’atteggiamento di autentica comprensione, cioè disponibilità a comprendere attese, desideri, angosce ed entusiasmi. Quindi la salvezza dell’io non risiede nel contrapporsi all’altro, ma nel lasciarsi fecondare dall’altro, con l’intento di realizzare con l’altro un rapporto di reciproca intesa, realizzando dunque un’unità che si disponga in modo da comprendere il sé, l’identico e il diverso: abbandonandosi all’interazione. In questo modo non si rischia di perdersi, ma di trovarsi.

Nella reciprocità dell’incontro tra l’io e il tu è necessario presupporre delle trasformazioni del processo d’interazione, creando così un autentico processo dialogico tra noi e gli altri.»

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