La storia, il progresso, la tecnologia e l’animale uomo vanno nella stessa direzione? E poi chi sa se questa direzione è quella giusta? Si tratta di un’evoluzione o di involuzione storica? Esiste dunque una sana forma di reciprocità tra tutti questi elementi? L’essere umano ha realmente e totalmente annullato la sua aggressività? Oppure ha semplicemente e temporaneamente canalizzato, o meglio sedato e quindi “narcotizzato” in altre forme di comportamento le sue latenti violenze, ire e propensioni verso l’istintiva provocazione verso l’altro? Questa è una strada che almeno in linee generali dovrebbe essere costruita pensando proprio alla reciprocità tra due mondi, i quali forse potrebbero incontrarsi: quello economico, relativo all’ottimizzazione del profitto, e quello sociale, sicuramente più propenso alla spontanea e forse istintiva generosità umana. E poi termini come altruismo, generosità, prodigalità e abnegazione sono realmente radicati nell’animo e nel comportamento umano? Sicuramente il bisogno istintivo di relazione verso animali della stessa specie è connaturato, come la sua propensione verso la socialità e il dialogo, ma tali modelli di comportamento vanno sempre e comunque coltivati, istruiti e di conseguenza razionalizzati, civilizzati nel processo di adattamento tra esseri umani e l’ambiente sociale; sono partners di tipo socio-educativo e come tali non possono essere lasciati al carattere istintivo dell’animale uomo. Su questo punto possiamo fare riferimento all’approccio teorico di economisti come Ernst Fehr e Simon Grächter che partono dal presupposto che la difesa degli interessi individuali, come la difesa del territorio o dell’ambiente, quindi della propria sopravvivenza, possono prevaricare sulle relazioni umane a tal punto da rendere difficile la coesistenza tra gli stessi individui. Non dobbiamo tralasciare quella parte di aggressività che l’uomo civilizzato ha canalizzato nel corso dei secoli grazie all’istruzione, all’apprendimento, alla riflessione, quindi ai quei modelli di civiltà che regolano il contatto tra individui appartenenti alla stessa specie. Fehr e Grächter definiscono la reciprocità come una risposta ad azioni amicali non solo verso soggetti capaci di offrire aiuto e propensione all’aiuto, ma tra soggetti che si dimostrano ostili nei nostri confronti: il tentativo di contrastare la cupidigia, l’egoismo, la prevaricazione e l’invidia è sentimento umano e come tale può riemergere in qualsiasi momento, soprattutto quando si ledono i nostri interessi. Non a caso il conflitto nasce proprio dalla difesa degli interessi del singolo, in certi casi anche a danno della collettività, pur di sopravvivere. In quale misura dunque possiamo pensare alla cooperazione o alla democratizzazione dei saperi e delle conoscenze quando sono gli interessi economici individuali a prevaricare sul concetto di relazione umana? Siamo certi di vivere nella società paradisiaca del villaggio vacanze? È più facile andare reciprocamente d’accordo quando siamo in vacanza o quando lo stipendio non ci basta per arrivare a fine mese? Che cosa succede quando la povertà raggiunge vertici elevati? L’uomo è sempre e comunque disposto a mettere in atto comportamenti amicali? Quando le logiche di un mercato altamente competitivo creano condizioni difficili per una sana qualità della vita, allora che cosa succede? Pensiamo al consumismo sfrenato. Pensiamo all’assenza di un comportamento morigerato nell’ acquisto di beni o servizi di consumo. Se il potere dei mass media è così persuasivo da indurci a desiderare di avere un secondo cellulare, allora varrebbe realmente la pena pensare di distinguere i piani di acquisto in accordo con le necessità reali rispetto a quelle indotte dal mercato. È un punto particolarmente delicato, che non sfugge ad un attento studente del corso di lettere e filosofia dell’Università di Venezia. Il punto della questione riguarda proprio la confusione, piuttosto generalizzata nel linguaggio comune, tra il concetto di persona e il concetto di risorsa umana. Se parliamo di risorse umane, quindi clienti, compratori, allora è chiaro che ci riferiamo a relazioni come lo scambio, la vendita, l’acquisto, il mercato e tutte le forme di relazione note alle scienze economico-sociali. In termini prettamente industriali è facile trovare parole come: il capo del personale, il settore delle risorse umane, il potenziale del capitale umano. È ovvio e persino scontato affermare che l’essere umano non può e non deve essere scambiato per un bene o per un servizio, ma in questo caso tale terminologia è funzionale a quella logica pragmatica che si utilizza spesso in azienda. Il problema sorge quando utilizziamo questa stessa logica anche nei rapporti umani. Se cambiamo prospettiva e affrontiamo le problematiche dell’individuo per quello che è in termini socio-pedagogici, ovvero analizziamo la persona con i suoi bisogni, desideri, ideali, storie, pensieri, stati d’animo, emozioni, ecc., allora la propensione verso la socialità acquista un valore diverso, rispetto al significato economico dello scambio di un bene materiale. Come si fa dunque a parlare di reciprocità quando è il mondo economico a dettarne le regole? Giustamente lo studente pone una questione che esaspera la contrapposizione tra il piano psico-sociale, quindi anche educativo delle relazioni umane, e quello più meramente pragmatico, economico, del lavoro e delle necessità di mercato, dove non c’è tanto spazio per il lato romantico della relazione. In tal senso le scienze sociali, e quindi tutte le scienze sociali da quelle economiche a quelle più strettamente antropologiche, hanno dimostrato empiricamente l’importanza del contesto valoriale di riferimento nell’ambito della ricerca: la famiglia, il mercato e quindi il contesto aziendale o quello produttivo-industriale: sono tra loro così scollegati? È facile dunque confondere i piani interpretativi, anche perché tutto ricade sull’uomo e sul suo modo di porsi di fronte all’ambiente circostante. L’uso degli spazi di relazione che stabiliamo tra noi e gli altri si costruisce pensando a come riusciamo a costruire logiche diverse in base ai diversi contesti di riferimento.
Per questo è necessario avere la capacità di costruire dimensioni, categorie, indici e indicatori in grado di suddividere un piano di variabili o mutabili, sicuramente diversi per ogni specifica disciplina interpretativa. Non a caso lo stesso Impara ha deliberatamente aperto la videoconferenza richiamando l’attenzione sulla distinzione tra le dimensioni filosofico-scientifiche da quelle scientifico-educative. Su questo aspetto, ovvero sulla distinzione logico-razionale tra i diversi comparti disciplinari, vale la pena ragionare un po’ di più. Il problema maggiore è la debolezza interpretativa: se non si hanno gli strumenti per capire si finisce per confondere i diversi modi di interpretare il mondo. Il cervello (e quindi la parte più importante dell’animale uomo) si è costruito in migliaia di anni e oggi affidiamo molto all’apprendimento elettronico: on line, ma anche radiotelevisivo. Il nocciolo della questione è che nel nostro mondo basta accendere la televisione, connetterci ad Internet, persino andare al cinema per trovarci bombardati dalle logiche persuasive pubblicitarie che scambiano il corpo, la sessualità o l’erotismo con un qualsiasi altro bene di consumo voluttuario: fino a che punto allora riusciamo a reggere questi stimoli? Molti affermano che il lemma “sesso” sia il più cliccato tra i tradizionali motori di ricerca. Forse perché il sesso piace? Probabilmente sì, ma con molta facilità si finisce per confondere i contesti relativi alle diverse sensazioni emotive, come il piacere per la sessualità, il denaro, il prestigio, il potere, il consumo: tutto questo necessita di un controllo emotivo capace di suddividere le cose che ci piacciono da quelle che invece creano solo bisogni indotti dai mass media. Perché allora tanta confusione? È Internet che crea questa confusione o la televisione che rimane sempre accesa? È la connessione gratuita, o il modo con cui noi stabiliamo le connessioni gratuite tra macchine e persone?
Forse, non dobbiamo dimenticarci che è la scimmia quella che muove la leva ad essere colpevole del suo movimento e quando questa s’inceppa è solo e soltanto essa a conoscere il modo di sbloccarla. L’uomo non è altro che una scimmia impigliata nella matassa elettronica del web. La tecno-comunicazione sta diventando il modo più efficace per stabilire un contatto tra sé e gli altri. È come se ci trovassimo sopra una grande piattaforma digitale, con telecamere, satelliti, microfoni e schermi al plasma e poi avessimo difficoltà a stabilire un “contatto umano” con la persona che abbiamo di fronte. Per questo la metafora del caffè è stata scelta proprio per dare enfasi al concetto di sovrapposizione di voci, che tentano di sciogliere la matassa avendo la capacità di discernere i diversi approcci disciplinari. Di fatto questo incontro in videoconferenza è stato ideato aggiungendo l’aggettivo “pedagogico” alla parola caffè proprio per dare enfasi alla dialettica del ragionamento, al dialogo e alla logica del “buon parlare” e del “saper vivere”, non certo “del voler persuadere”, focalizzando l’attenzione sulla reciprocità dell’insegnamento tra maestri e praticanti, docenti e discenti, professori e allievi; proprio perché si è pensato al confronto tra persone disposte a mettersi in discussione attraverso esperienze, saperi e conoscenze, ruoli e punti di vista messi a confronto. Non dimentichiamo che il passaggio da conoscenze tacite a conoscenze esplicite, abilità e quindi trasmissione di valori, paradigmi e consuetudini tra le generazioni di passaggio non è certo così immediato, come apparentemente si potrebbe pensare. Nel dopoguerra, quando la gente viveva in sei, sette, otto persone in una stanza divisa da un sottile filo di stoffa che suddivideva la cucina, il bagno dalla camera da letto, e mangiava carne una volta ogni tre mesi, allora che significato si dava alla parola sesso? Non credo che gli uomini di allora attribuivano lo stesso significato alla reciprocità, quella con cui noi stabiliamo contatti fisici con i nostri simili. Possiamo quindi svuotare la parola sesso del significato romantico della relazione? No, possiamo certamente svuotarla del significato esclusivamente riproduttivo, ma anche in questo caso abbiamo la necessità di pensare a due persone che s’incontrano con amore: ovvero che stabiliscono un rapporto di reciproco scambio. Tutto questo non costituisce il presupposto per una teoria sulla reciprocità e nemmeno per un principio, ma semplicemente un presupposto per ammettere la spontaneità nel rapporto umano. Non si tratta di una congettura e neanche di una dimensione empirica, ma semplicemente di una considerazione che ci permette di osservare quanto l’idea di amore abbia legato tra loro gli esseri umani capaci di vivere – positivamente – il loro rapporto con il progresso scientifico e tecnologico.
In tutto ciò non abbattiamo l’idea che la reciprocità possa escludere momenti di conflitto, asperità, odio: basti pensare al fatto che anche le guerre si fanno con alleanze! Non esisterebbe altrimenti un sano rapporto di coppia, tra coppie di generazioni di padri e di figli, e da questi a gruppi di coppie appartenenti a classi o stratificazioni sociali diverse per genere, status, prestigio e anno di nascita. Non a caso in questa VDC sono emerse problematiche di scambio generazionale con cui oggi ci troviamo tutti a dover dare un forte e sostenuto giro di vite, pensando così al passato non solo come un monito che ci ricorda quanto siano importanti i momenti storici della cultura del nostro paese, ma soprattutto pensando a quanto siano cambiati i modi di relazionarci con gli altri. Su questo aspetto vale la pena leggere l’intervento di Mirella Zecchini. Ora sul problema tra scambio generazionale e reciprocità si pone il dubbio di quanto le nuove generazioni abbiano trattenuto i valori, le consuetudini, le tradizioni del passato. Esiste un rapporto di reciproco scambio? Non è così scontata la risposta a questa domanda, leggendo la questione che pone uno studente dell’Università di Venezia. Parole forti, parole che mettono a nudo la posizione di debolezza del vuoto contenuto in quella reciprocità generazionale che ne sottolinea l’assenza. Sì, l’assenza di reciprocità si riscontra nell’incapacità di creare una continuità tra il vecchio e il nuovo; chi ne paga le peggiori conseguenze sono proprio i giovani: la classe emergente, la quale non riesce a ricoprire ruoli stabili e duraturi nel tempo. Allora la reciprocità diventa un punto su cui le generazioni si mettono a confronto, in termini di contraddizioni nei confronti di valori, tradizioni, modi di pensare e consuetudini diverse rispetto al passato. Diverse perché? Oggi, rispetto al passato si legge in modo molto più marcato l’insieme degli aspetti che segnano le differenze tra l’evoluzione o l’involuzione storica tra le generazioni. È necessario osservare quanto le formazioni sociali siano in grado di trattenere l’esperienza delle generazioni passate. Non si tratta di un processo ciclico di tipo seriale, nel senso che non è un passaggio automatico; tutt’altro, molto dipende dal rapporto che si stabilisce attraverso lo scambio reciproco di esperienze. Se osserviamo da lontano il passaggio dalla Grecia antica all’umanesimo, quindi dal Cristianesimo alla caduta dell’Impero romano, dal medioevo al rinascimento e da questo al romanticismo, fino al punto di rottura tra il modernismo e il post modernismo, allora è particolarmente evidente quanto siano stati ampi gli spazi e i tempi di passaggio tra i paradigmi di riferimento. I diversi modi di vedere il mondo, quindi le teorie, ma anche le condizioni storico-sociali e gli aspetti socio-economici che ne segnano l’importanza lungo secoli di assorbimento, periodi di gestazione. Oggi, invece, i cicli si sono ridotti e i cambiamenti sociali si vivono nell’immediatezza, pertanto è molto più diffide riuscire ad adattarsi al cambiamento. Come osserva giustamente lo studente, ci troviamo di fronte ad una classe emergente che non accetta questi periodi di gestazione; vuole emergere cercando di accorciare i tempi. È una generazione che manifesta l’esigenza di acquisire questa eredità: i tempi non possono così lunghi come in passato. Questo genera asperità, rotture e divisioni che non aiutano a stabilire forme di reciprocità tra il “vecchio” e il “nuovo”. D’altra parte i ritmi sociali con cui si modificano gli stili di vita oggi sono dettati dalla tecnologia, dall’innovazione e dal progresso che sicuramente hanno portato verso nuove forme di conoscenza. Non solo, oggi ci relazioniamo agli altri in modo molto diverso rispetto al passato. Forse, ci conosciamo di più e conosciamo meglio il nostro agire. Percepiamo meglio il significato che diamo all’analisi interiore, un passo importante per capire come siamo fatti e come ci poniamo di fronte agli altri.